Se il Pendolo va in Riserva
La logica funzionale e quindi costruttiva della strada Pendolo rimanda alla originaria idea di agevolare l’attraversamento automobilistico dei quartieri ovest della città: una sorta di circonvallazione interna, ideata parecchio tempo fà per far fronte a presunte prospettive di sviluppo della mobilità urbana, che invece in questi ultimi anni sembra essere parecchio diversa da quella ipotizzata o perseguita.
Come fa allora un progetto, pensato in un’epoca e con una logica ormai lontane, ad essere realizzato anni dopo, in un contesto dinamico diverso, mantenendo le impostazioni progettuali e funzionali di partenza? A sentire i sostenitori della bontà dell’opera, la strada Pendolo, carreggiata di ben quattro corsie, larga 15 metri, una superstrada urbana ma con limite 50 km/h, deve drenare traffico automobilistico circostante, e lì le macchine devono andare, correre, fluire.
Supponiamo per un attimo che questo asse viario debba per forza passare dalle parti di Via Pantini, perché alternative pratiche non se ne trovano. Come potrebbe allora essere in una nuova visione?
Questa è una strada di uscita dalla città ma anche di ingresso: ci transitano mezzi motorizzati che il PGTU rileva essere tanti, parecchi, che oggi vengono o vanno da Francavilla, interessando anche il lungo mare, ma che risentono anche dei flussi legati alla presenza della circonvallazione (tra l’altro in procinto di essere abbattuta).
Questo dato “fotografico” non va però ritenuto ineluttabile, ma va inquadrato in uno scenario dinamico di riduzione del traffico automobilistico a favore di un nuovo modello di mobilità: lo dice il PUMS che il modal share automobilistico deve ridursi del 50% a favore di TPL e BICI (un dato, un valore che è anche indicatore della misura attuativa del piano stesso).
È allora questo l’obiettivo che va perseguito, e l’infrastruttura lo deve assecondare se non imporre. Strade più piccole, insomma, non a canna di fucile, che agevolino l’alta velocità, come in Via della Bonifica e come lungo l’ingombrante Pendolo, ma sagomate per ridurne e mitigarne l’ingombro e l’impatto funzionale di asse di presunto grande scorrimento (a velocità più basse, tra l’altro, sulle strade ci entrano più macchine).
Insomma, se questo asse viario deve per forza passare di lì, rimanendo ferma la posizione che di alberi, quelli importanti, non se ne abbatta nessuno, questo potrebbe diventare al limite una strada nella Riserva, che racconta cioè l’area protetta, ne parla, la evidenzia, dotandola di elementi percettivi che rimandino al luogo attraversato, seppur marginalmente.
Carreggiata a due corsie massimo e marciapiedi, perché le norme lo impongono, con le opportune quinte vegetali di barriera e di filtro, che diano continuità alla Riserva verso il comparto agricolo adiacente. Tra l’altro le piante non si muovono, nell’accezione comune del movimento, ma di animali di lì ne passano, per cui è utile se non indispensabile creare anche corridoi dedicati e protetti che consentano una opportuna permeabilità faunistica.
E poi la segnaletica, di ingresso e di uscita: stai attraversando la Riserva Dannunziana, area protetta regionale, ecc. ecc., come insegnano certe esperienze europee dove le situazioni di frizione ambientale vengono positivamente risolte come occasione di crescita formativa e di consapevolezza ecologica. Una condizione “win win”, in sostanza, in cui vincono tutti!
E il tratto terminale di via della Bonifica, che resta incluso nella Riserva, va smantellato e naturalisticamente rigenerato, rimuovendo al contempo centinaia di metri di recinto poisto ai lati. Come pure deve essere recuperata Via Silone, ad oggi area parcheggio per chi, curiosamente, si reca in pineta in auto, oltre che per quelli che portano i propri figli a scuola in via Scarfoglio in auto, “perché è pericoloso far andare i bambini a piedi che ci sono troppe macchine “. Magari con meno strade e parcheggi in giro queste cose non si sentono più!