Hic manebimus optime
“Hic manebimus optime”, disse l’autista alla propria auto parcheggiando sulla pista ciclabile lungo la strada parco – Io credo che esista una vizio, se non una malattia, con cui molti cittadini, da diversi decenni, hanno ormai fatto l’abitudine, essendosi questo impossessato, in modo subdolo, del loro stile di vita. Vizio altamente contagioso e oltremodo dannoso per chi invece non ne è affetto. Parlo del parcheggio. Auto, si intende!
Prendere a calci un ciclista che fa notare ad un automobilita l’improvvida sistemazione della propria macchina su una pista ciclabile, dove cioè è prevista una diversa funzione di trasporto, costituisce indubbiamente una evidenza giornalistica non da tutti i giorni. Ma garantisco che situazioni simili ne incontro di continuo, che poi finiscono in chiacchire più o meno animate o in semplice costatazione in assenza dell’autista. Auto che transitano o si fermano sulle ciclabili a Pescara sono frequenti e il fatto è abbastanza ordinario soprattutto quando le piste non hanno una separazione fisica, ma solo cromatica, dalle altre corsie.
“Eh, un attimo, un minuto!”: questa, quando va bene, è la scusa più ricorrente, quando l’automobilista viene colto in infrazione. Come se il codice della strada potesse essere rispettato a “momenti”. In effetti, l’automobilista del “calcio” mi aveva suggerito di passare “al di là” dell’auto perché c’era posto, quasi che la pista ciclabile fosse una opzione, una proposta di transito, un “suggerimento”.

Questa volta ho intercettato un’automobile chiusa, ferma, immobile, parcheggiata lungo l’ambrata pista ciclabile adiacente la strada parco, nel tratto da Via Muzii, altezza Conservatorio, in direzione sud. Mi sono guardato intorno ma non ho trovato segni di “padronanza”.”Hic manebimus optime”, avrà confidato l’autista alla sua quattroruote: di qua e di là pedoni e ciclisti possono passare deviando un po’. Che fastidio diamo? Poi ci vorrà un minuto… E così che minuto dopo minuto le auto in questa città, come in tante altre, occupano perennemente a turno pezzi dello spazio pubblico, senza timore di essere scacciate da una seconda fila, da un marciapiede, da uno scivolo, da una ciclovia. Potrebbe capitare a tutti di aver bisogno di un buco in cui sostare, tanto da far ritenere quello del parcheggio un servizio primario: come l’acqua, in casa, la luce, il gas, e adesso internet.Invece non è così: il car free europeo, senza auto, comincia ad essere un elemento di pregio di un quartiere, non una sofferenza. L’assenza di auto fa aumentare la qualità della vità, lo spazio dedicato agli “affari sociali” dei cittadini, al verde, alle aree gioco e di intrattenimento, e poi riduce il rumore, l’inquinamento atmosferico, la sedentarietà e l’obesità e le relative spese sanitarie.Una città che regala spazi pubblici alle auto per farle stare ferme fa male ai propri cittadini; fa male alla loro salute e fa male al commercio, che ha nelle persone che si muovono entrando e uscendo dai negozi la propria ragione di vita, non certo le auto che passano davanti le vetrine e che non possono fermarsi perchè ce n’è già un’altra parcheggiata. Magari del proprietario.