La prova del Pendolo (1)
Prima parte
Era più o meno la fine dello scorso decennio: “Non appena termina, sarà la strada più bella della città“. Così diceva del Pendolo, ai tempi della sua costruzione, un responsabile di cantiere mentre ne indicava sulla carta il tracciato e la presunta, per l’epoca, innovativa pista ciclabile di corredo.

Alla fine il Pendolo è diventato un anonimo asse trasportistico di periferia largo 15 metri dove, compreso tra due sponde abitate, scorre un magro fiume automobilistico: una strada che taglia invece che cucire, divide invece che unire.
Della vegetazione di riempimento prevista dallo scarno disegno di progetto è rimasto solo l’accenno, un residuo di arbusti e alberi; spicca con ricorrenza invece, per nulla preventivato, visti gli obiettivi di riscatto dell’opera, un continuo drappeggio di rifiuti ingombranti di assedio ai cassonetti. A volte si ha la sensazione di trovarsi nel mezzo di un mercato immobiliare dell’avanzo, alimentato da continui e ricorrenti traslochi: materassi malconci, cucine dismesse, mobilio scadente e vecchie specchiere riflettono disagio e precarietà.
Si, è vero: la strada è maestra di vita. Ma se poi è riservata solo alle automobili, allora diventa cattiva maestra, specie quando trasforma se stessa e il suo intorno in degrado e abbandono.
Così è accaduto da subito per la pista ciclabile, nata sofferente per la non felice localizzazione residuale, su un solo lato, senza connessioni agli attraversamenti e precaria nella pavimentazione, inospitale per le bici e quindi in breve tempo declassata a parcheggio automobilistico.

Nel giorno dell’inaugurazione, davanti al palco piazzato in mezzo alle 4 corsie, a ridosso di una delle rotatorie, sull’asfalto nero di fresco si passeggiava, si andava in bici, si giocava, ma giusto il tempo di qualche discorso e del taglio del nastro. Poi, via tutti: largo alle auto!
Ma si è proprio convinti che questa strada, così come pensata e realizzata possa realmente essere motivo di riscatto per questa parte di città?
… continua